Correva l'anno 1890 quando Antonio Fioretti da Marano Vicentino procedeva all'incrocio di due varietà di mais locali, Pignoletto d'Oro e Nostrano, nella speranza di coniugare la qualità del primo alla resa del secondo. L'opera di selezione durò ben vent'anni ma premiò la sua intraprendenza: il nuovo granturco «Marano» varcò presto i confini della pianura padana ed ebbe eccezionale fortuna. Gli erano caratteristici le pannocchie esili ma numerose, e i chicchi rossastri e vitrei, ricchi di giutine.
Se ne traeva una farina ideale per la polenta che risultava di un colore giallo intenso, screziato di marrone, e di sapore inconfondibile, sconosciuto ai mais iperproduttivi che gli subentrarono nel dopoguerra. I nostri contadini, comunque, non hanno dimenticato il Marano. Qua e là ne producono ancora esigue quantità per uso proprio o per soddisfare le richieste di ristoratori che mantengono vivi sapori antichi.
I suoi estimatori, poi, oggi hanno di che rallegrarsi: in nome della salvaguardia delle varietà tradizionali, auspice la Comunità Europea, ne verrà rilanciata la produzione. Così non sarà più un'impresa trovare farina per una polenta come si deve, irrinunciabile compagna del baccalà, suadente dopo aver indugiato nella leccarda dello spiedo, complice del latte nell'evocare un piacere da fanciulli.
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