Ci sono storie di campioni e uomini capaci di andare oltre i colori, le bandiere, tifoserie ed aree geografiche. Accade di rado, un evento quasi più unico che raro, se pensiamo ai giocatori che hanno vestito le maglie delle squadre più rivali fra loro, ecco che vengono alla mente solo storie di giocatori capaci di trascinare dietro le proprie gambe una scia di odio, polemiche e insulti. Tutti, tranne uno: Roberto Baggio.
Non sono non ha generato alcun tipo di veleno il suo passare da una sponda nobile all’altra, ma è anche riuscito nel miracolo di lasciare un’impronta indelebile ovunque, anche laddove non gli è stata data la possibilità di mettersi in luce al massimo delle proprie immense potenzialità.
È esploso a Vicenza, dove hanno anche provato a fargli chiudere la carriera, ma quelle maledettissime ginocchia da tempo dicevano basta, ma lui fino all’ultimo ha saputo incantare e lasciare tutti a bocca aperta, anche nelle piazze più impensabili. Perché un Brescia-Psg in Europa era un miracolo sportivo che solamente in Divin Codino poteva rendere possibile, con Carletto Mazzone in panchina ed una serata che resterà a vita nella mente e nel cuore di chi in massa riempiva quel Rigamonti come non mai.
Miracoli di un uomo che proprio nel Brescia, a fine carriera, si è forse regalato i momenti più romantici. Il gol di spalle e al volo alla Juventus, il rientro miracoloso dall’ennesimo ginocchio rotto, per salvare il Brescia ma non per ottenere quella chiamata al Mondiale 2002 che un Paese intero invocava, lasciando però indifferente Trapattoni. Prima ancora, in un anno solamente, aveva incantato Bologna, senza codino ma rilanciandosi alla grande dopo la parentesi al Milan, la meno solare di una carriera splendente.
Quando arriverà all’Inter andrà a comporre con Vieri e Ronaldo uno dei tridenti più clamorosi nella storia del calcio, purtroppo solo sull’album Panini. Perché giocheranno una manciata di minuti assieme, per gli infortuni del Fenomeno ma soprattutto per un Lippi mai benevolo con Roby. Che pure, in una fredda serata invernale e con ancora Gigi Simoni in panchina, firmerà quella doppietta memorabile che schianterà il Real Madrid a San Siro.
Indubbiamente fu il passaggio dalla Fiorentina alla Juventus a rendere il suo personaggio, divinità. Un addio doloroso, il cuore infranto dei viola che quando tornò al Franchi da avversario lo inondarono di affetto, all’uscita dal campo gettandoli sciarpe e abbracci platonici, mentre lui ricambiava rifiutandosi di battere un calcio di rigore. Da quel momento la rivalità tra Juventus e Fiorentina divenne ancora più accesa.
Il capitolo azzurro, è quello che più ci fa male. Italia ’90 fu quasi un’apoteosi, Usa ’94 ancora ci fa svegliare lacrimanti di notte: quel rigore calciato alto, una partita che forse non doveva giocare per quanto era malandato. Un Mondiale intero vissuto sulle nuvole, portandoci tutti noi a suon di gol e giocate: a fine anno il pallone d’oro sollevato con la maglia bianconera, a parziale risarcimento. E poi nel ’98, l’altra delusione in Francia, con quel destro al volo che come egli stesso mimò, finì fuori solo per il soffio dell’intero pubblico transalpino capace di spingere la sfera fuori dallo specchio.
Nessuno è stato più amato di lui, forse semplicemente perché, nessun italiano è stato mai più forte di Roberto Baggio.