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1906

La legge istitutiva della Municipalizzazione, promulgata il 29 marzo 1903, non trovava insomma a Vicenza un deserto: l'ente locale da un decennio e più era impegnato a rendere alla popolazione i servizi pubblici essenziali. Tant'è che il Consiglio comunale, con delibera approvata il 24 marzo 1906, sottolineava la volontà di "continuare nell'esercizio diretto dei servizi combinati dell'acquedotto e dell'illuminazione pubblica e privata (ovvero gas ed elettricità, N.d.R.), sottoponendoli alle norme per le aziende speciali mediante costituzione di una sola azienda speciale, distinta dall'amministrazione ordinaria del Comune".

All'atto di nascita, le Aziende Industriali Municipalizzate di Vicenza disponevano di un patrimonio cospicuo per quegli anni. Al settore Acquedotto facevano riferimento il campo pozzi del Moracchino, su una superficie di circa 5 mila metri quadrati; la centrale di sollevamento di viale Trento, con due gruppi motori; due serbatoi d'accumulo alle Scalette di monte Berico e una vasca nel parco di villa Guiccioli; la rete di distribuzione sviluppata per 13 chilometri. Riguardo al settore Gas, il patrimonio consisteva, oltre che in una rete di 31 chilometri, negli impianti di San Biagio, costituiti da 4 forni e 3 gasometri per una capacità complessiva di 3 mila 500 metri cubi. Infine, relativamente al settore Elettricità, l'azienda disponeva di un impianto sollevatore annesso alla centrale di sollevamento di viale Trento, di una cabina a San Biagio, dell'impianto esterno di illuminazione rappresentato da 20 candelabri e 42 lampade ad arco (l'illuminazione pubblica era ancora prevalentemente alimentata a gas).

Se è vero, com'è vero, che nella storia di AIM si specchia la città, la lettura dei bilanci consuntivi, fin dal primo anno di vita dell'azienda, consegna a chi li voglia indagare numerosi spunti e suggestioni. Il consumo dell'acqua del 1906, per esempio, evidenzia che la quantità usata dai privati cittadini ammontava a 370 mila 688 metri cubi, mentre al Comune per i propri edifici e per le fontane pubbliche furono addebitati 207 mila 529 metri cubi. Un dato che indica come le abitazioni periferiche si servissero soprattutto di pozzi privati e che molte famiglie usavano approvvigionarsi d'acqua alle pubbliche fontane. L'acqua corrente in casa era evidentemente tutt'altro che la norma. Una statistica dei casi di tifo rilevati nel 1910 e 1911 - rispettivamente 44 e 96 episodi di infezione metteva tuttavia in luce quanto estesa e grave fosse l'inquinamento delle falde superficiali. Di qui l'approvazione nel 1912 di un progetto di estensione della rete di distribuzione, tale da includere Saviabona, Bertesinella, Settecà, Villa Margherita, Sant'Agostino, Maddalene, strada Marosticana fino a Polegge e Panna, strada Postumia fino a Ospedaletto. Lo sviluppo della rete raggiunse i 57 chilometri di tubazioni, che alimentavano 90 fontane pubbliche e circa 3 mila private abitazioni, con un consumo complessivo di quasi un milione di metri cubi l'anno.

Anche la lettura, e interpretazione, dei numeri relativi al gas consentono di avvicinare la reale vita quotidiana delle famiglie vicentine del primo '900. Sempre il conto consuntivo del 1906 segnala che i consumi per usi privati ammontavano a I milione 103 mila 295 metri cubi, di cui ben 756 mila 326 per illuminazione; i consumi derivati da uso combustibile assommavano infine a soli 210 mila metri cubi. Tali cifre ci raccontano come per la cottura dei cibi, e ancor più per il riscaldamento delle abitazioni, fosse allora prevalente l'impiego di legna e carbone. Il conto consuntivo ci informa inoltre del consumo di 180 mila 550 metri cubi di gas per illuminazione pubblica. Un dato che ci aiuta a capire come e quanto fossero illuminate le strade cittadine. Poiché‚ il consumo medio per fanale era di 110 litri per ora, se ne ricava che l'illuminazione stradale era garantita da circa 750 lanterne.
Poco riscaldate, malamente illuminate e senz'acqua. Tali erano, in gran parte, le case di città. Ma il progresso avanzava rapido, il processo di modernizzazione investiva le abitazioni del vicentino. Lo garantisce, fra l'altro, la relazione illustrativa del conto consuntivo del 1907, che indica come l'originaria modesta rete di distribuzione dell'energia elettrica andava sviluppandosi. "Crediamo non vi dispiacerà leggere - sta scritto nella relazione citata - che esso esercizio continua in modo soddisfacente, e con effetti sensibilmente superiori alla previsione, tanto che fin dal primo mese di inizio ha portato una discreta cifra di utili netti al bilancio dell'Azienda. Sono ora installate e in corso di installazione 4 mila lampade e 250 cavalli di forza... e i consumi sono così ben distribuiti da fornire una percentuale di utilizzazione che non avremmo mai sperato di poter così presto raggiungere". Vuol dire che s'affermava l'impiego su larga scala del sistema elettrico e che l'abbandono del gas per illuminazione fu questione di pochissimi anni: nel 1908 le lampade elettriche erano divenute 5 mila 890, alla fine del 1909 ne erano installate 8 mila 90 e ben 15 mila alla fine del 1910. Dinanzi a tale boom, le Aziende approfondirono numerosi progetti per il reperimento di energia elettrica. Abbandonata l'ipotesi di costruzione di una centrale idroelettrica a Polegge, per sfruttare le acque del Bacchiglione, una relazione della Giunta municipale del 1907 ci informa che furono "numerose e varie le pratiche per rintracciare l'energia occorrente, ma sempre a nulla approdarono perché non si poteva mai trovare una forza costante e di tale entità da poter far fronte ai bisogni immediati e futuri che giustamente potevansi prevedere per la nostra Vicenza". Da tale acquisita consapevolezza discende l'intesa sottoscritta il 20 marzo 1907 dal sindaco marchese Giuseppe Roi con la Società adriatica di elettricità (Sade), che si impegnava a fornire, in modo continuativo e costante, fino a 600 Kw, alla tensione di 6200-6000 volts.
Va notato come, sin da allora, nel contratto con la Sade fosse contenuta una promessa di sviluppo per AIM: all'articolo 6 della convenzione si legge che "la Ditta fornitrice si obbliga a non vendere ad altri nel comune di Vicenza energia elettrica sotto qualsiasi forma, né direttamente né indirettamente". La Sade si riservava il diritto di vendere, fuori della cinta murata, energia per uso forza motrice e per riscaldamento industriale, mentre al Comune restavano le forniture per illuminazione e per forza motrice fino a una potenza di 1 KW. Tali lontane premesse spiegano e motivano una situazione esistente ancor oggi.

Garantita la fornitura dell'energia elettrica per mezzo dell'intesa con la Sade, le AIM nel corso del 1907 promossero i lavori di potenziamento complessivo degli impianti e della rete di distribuzione, con posa in cavo sotterraneo di quasi tutte le condutture ad alta tensione. In tale piano di interventi era inserita anche la costruzione di 14 cabine di trasformazione, con la predisposizione degli impianti per prelievi fino a 750 KW, una potenza di 5 volte superiore a quella assorbita nel primo anno di attività. Anche quest'ultimo elemento è un utile indicatore del processo di sviluppo cui la città stava andando incontro. Il Comune infatti stava predisponendo un rilevante piano di edilizia popolare, mentre sul versante dell'intrapresa privata l'espansione urbana stava conoscendo ritmi mai visti prima. L'amministrazione comunale nel 1909 diede avvio all'urbanizzazione del territorio situato entro la cinta daziarla di viale Bartolomeo D'Alviano e delimitato da viale Bacchiglione e da contrà San Bortolo. Nel medesimo giro d'anni, a ovest di viale Mazzini, cresceva un quartiere che sin nella denominazione "Vicenza nuova" denuncia ambizioni e consistenza. Altri insediamenti erano in corso, ad esempio e fra l'altro, nella zona di San Bortolo con la costruzione del "quartieri militari". Ne derivava una richiesta crescente, e pressante, di una estensione e riqualificazione del servizi urbani resi dalla pubblica amministrazione attraverso le AIM.

La crescita della città pose nuovamente la questione dei trasporti collettivi. Il Comune diede quindi incarico alle AIM di predisporre il progetto per una linea di tramvia elettrica, che partendo da Borgo Padova - capolinea all'altezza di contrà dei Forti - serviva l'asse di spina cittadino costituito da via XX settembre, corso Principe Umberto, porta Castello, viale della Stazione (l'altro capolinea stava appunto alla ferrovia). Il progetto approntato dal direttore AIM, ingegner Leo Dallari, prevedeva un binario unico di 2,1 chilometri, con scartamento di 1 metro e tre scambi intermedi (piazza Castello, San Barbara, piazza XX settembre). Il parco mobile doveva essere costituito da 5 vetture della capienza di 30 posti. Approvato dal Consiglio comunale nelle sedute del 10 e 23 luglio 1909, il progetto di municipalizzazione del servizio tranviario venne sottoposto a referendum popolare. Al sindaco Dalle Mole che li interpellava, l'8 maggio risposero 3 mila 136 dei 6 mila 742 elettori iscritti alle liste: si espressero a favore 2 mila 633 cittadini. E con tale viatico, il 28 maggio successivo la ricostituita linea Borgo Padova-Ferrovia venne inaugurata. Merita notare come il servizio ottenne, stavolta, il plauso dei cittadini poiché presentava caratteristiche tuttora di chiaro interesse: le corse erano garantite con frequenza ogni 6 minuti, la velocità commerciale era di 18 chilometri l'ora.
Tant'è vero che, rilevati i positivi dati del primo anno di esercizio e le pressanti richieste di collegamenti dei quartieri più esterni al nucleo antico della città, la linea fu estesa fino al passaggio a livello della ferrovia per Schio. Non solo: nel 1911 l'espansione urbanistica e demografica consigliarono di realizzare, sull'asse fra porta Castello e la Loggetta, un primo tratto della programmata linea tranviaria San Felice-San Bortolo.
La crescita della città sul piano territoriale e del sistema produttivo nel suo complesso, nonché la richiesta di sempre più elevati standard nella qualità della vita urbana, impegnarono oltremodo le AIM dopo la cessazione del primo conflitto mondiale. Nel ventennio fra le due guerre, la popolazione cittadina segnò uno sviluppo relativamente modesto - da 62 a 70 mila abitanti - ma si verificò una sensibile ripresa dell'attività edilizia. Basti pensare alla creazione del nuovo quartiere residenziale fra porta San Lucia e porta Padova fuori della cerchia muraria, il riavvio dell'urbanizzazione entro e fuori porta San Bortolo, nonché nel quartiere di "Vicenza nuova". A tale espansione corrisponde in parallelo una crescita dei servizi AIM: se nel 1920 le utenze dell'acquedotto erano 3 mila 315, nel 1940 ne vengono censite 8 mila 251; quanto all'elettricità si va da 6 mila 807 a 15 mila 623 utenze, mentre il gas va 4 mila 300 a 6 mila 585; raddoppia il numero dei passeggeri trasportati sui mezzi pubblici, poiché si passa da 1 milione 660 mila a quota 3 milioni 285 mila.

A tale cospicuo ampliamento del bacino d'utenza corrispose, di necessità un adeguamento infrastrutturale. Nel servizio acquedotto, la condotta in cemento da 450 mm. di collegamento fra il campo pozzi di Moracchino e la centrale di sollevamento di viale Trento venne sostituita con una tubazione in ghisa da 600 mm. nel giro d'anni compreso fra 1923 e 1929. Sempre in quest'ultima annata venne sottoscritta una convenzione per la fornitura dell'acqua potabile anche al comune di Arcugnano. Nel servizio gas, le AIM provvidero al rifacimento integrale delle officine di produzione. Poiché i consumi erano saliti da 750 mila metri cubi annui del 1900 ai 3 milioni di metri cubi del 1930, le aziende acquisirono l'area dell'ex filanda Schroeder - situata fra contrà Mure Carmini e il Bacchiglione - e qui nel 1931 avviarono il cantiere per la costruzione di un gasometro della capienza di 5 mila metri cubi. L'impianto venne poi nuovamente adeguato nel 1942, con una batteria di forni a camere verticali. Sul versante dell'elettricità i dati statistici segnalano che la potenza assorbita nel 1940 era di 1637 KW contro i circa 500 KW del 1920. Sviluppo determinato anche dalla nuova convenzione stipulata nel 1932 con la Sade, che riservava alle AIM la distribuzione in esclusiva dell'energia elettrica nel centro storico, mentre alla controparte rimanevano i quartieri meridionali. Quanto al servizio di trasporto pubblico, va segnalato che nel 1921 la tranvia Porta Castello-Loggetta fu prolungata fino a San Lazzaro, mentre nel 1925 entrò in funzione la nuova tratta Centro-San Bortolo. Programmata fin dal 1913 e rinviata per lo scoppio della prima guerra mondiale, la linea Centro-San Bortolo nel 1928 venne elettrificata e trasformata in filovia. Con il proposito di liberare il principale asse urbano dai binari, nel 1928 venne deciso di sostituire "il tram ad aderenza con la filovia dalla stazione ferroviaria al cavalcavia di Porta Padova e di estendere la linea stessa fino al nuovo quartiere degli impiegati statali in viale della Pace". Con la medesima deliberazione, datata 17 gennaio 1928, venne altresì deciso il prolungamento della linea di San Bortolo fino alla Caserma Chinotto e l'istituzione di una filovia Centro-Borgo Santa Croce (peraltro dopo poco sospesa per scarsità di utenza: punta massima di 260 persone il giorno). Alla fine del 1932, a completa attuazione del piano, la rete del trasporto pubblico si componeva di due linee filoviarie per uno sviluppo di 6 chilometri (Ferrovia-case statali di viale della Pace, Centro-San Bortolo), nonché di una linea tranviaria (Centro-San Lazzaro). Tale assetto rimase invariato sino al 14 maggio 1944 quando, per i danni rilevantissimi causati agli impianti da un bombardamento, il servizio venne sospeso.
Nel ventennio compreso fra le due guerre, ebbe vita un ulteriore servizio, poi soppresso. Il 21 giugno 1926 venne annesso alle aziende il Frigorifero comunale, i cui impianti erano dislocati al macello comunale di via Giuriolo; in funzione fin dal 1912 e costituito da una serie di celle frigorifere e da una fabbrica di produzione del ghiaccio, era stato sino ad allora gestito direttamente dall'amministrazione comunale e rivolto a servire le macellerie cittadine. La progressiva installazione di impianti frigoriferi nel singoli negozi e una gestione permanentemente in deficit, consigliarono la chiusura del servizio a partire dal primo gennaio 1941.
La vita cittadina nel suo complesso, lo sviluppo delle AIM nel merito, furono drasticamente frenati dalla seconda guerra mondiale. I bombardamenti aerei arrecarono gravi danni al sistema infrastrutturale aziendale, specialmente alle reti di distribuzione e al servizio tamfiloviario. Gli sfollamenti conseguenti alle prime incursioni aeree del dicembre 1943 implicarono una Immediata riduzione dei consumi (meno 10% per l'acqua, 20% per l'elettricità 30% per il gas). La produzione e distribuzione del gas divenne quanto mai incerta nell'ultimo biennio del conflitto, poiché vi era la previsione di esaurire le scorte di carbone. Rinvenimenti fortuiti di fossile e l'impiego di ligniti della Valchiampo consentirono di garantire il servizio minimo indispensabile - erogazioni limitate a 1 ora 45 minuti al giorno - sino al 31 marzo 1945, quando le ultime scorte furono esaurite.



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